venerdì 19 settembre 2014

La frase che ti cambia la vita

Racconto di Paolo Parigi

 


Il fardello. Quello delle bottiglie. Si chiama così l'involucro di cellophane che le avvolge. Lo sapeva? Fino a quando non ci ho avuto a che fare per lavoro non lo sapevo. È da allora che mi porto dentro quel fardello, quel peso. E tutto per non essere riuscito a vedere scritta la mia frase sulla confezione da sei di una bibita. 
E dire che al cliente era piaciuta. Ci avevo lavorato con passione, assetato di consenso. Le corsie illuminate della grande distribuzione dovevano essere il mio palcoscenico. Lo desideravo, era così che avevo deciso. Avevo ideato almeno cinquanta proposte, cesellandole accuratamente con i tasti del pc. Dal mucchio una, la migliore a giudizio del cliente. E anche mio. Il testo della mia pièce prevedeva poche parole, recitate da quei pacchi di bottiglie da 150 cl e 75 cl, attori muti ma eloquenti grazie alla mia immaginazione.
 

Sto parlando di tanto tempo fa. Ricordo bene il layout del progetto grafico sui monitor dei colleghi. Mi piazzavo silenzioso dietro le loro scrivanie per ammirare la mia frase vestita di caratteri gioiosi nuotare fra flutti frizzanti e frutti polposi. Pregustavo il momento in cui percorrendo la corsia delle bevande l'avrei incontrata. Avrei voluto che accadesse proprio mentre una donna si accingeva a prendere il fardello di bottiglie per caricarlo nel carrello. L'avrei anticipata premuroso dicendole: "Faccio io se permette, pesa un po'...". E avrei aggiunto: "Che combinazione! Ha scelto un prodotto che conosco bene... pensi che questa frase qui è mia...". Mi figuravo la scena da dietro. Il mio occhio interiore le modellava un'anatomia degna di essere inquadrata.
 

Mi porto dentro quel fardello, sì. Un gran peso. Non esagero. Su quella pellicola di plastica che avrebbe dovuto eternare le mie parole al cospetto del mondo dei consumi di massa avevo puntato molto. Avrebbe dovuto essere il trampolino con il quale proiettarmi nel firmamento di quelli che ce la stavano facendo. "Ah ma allora è tua quella frase? Dai?": le sentivo già le voci che mi avrebbero accarezzato l'ego, spalancandomi contemporaneamente, finalmente, i cancelli della reggia dove pensavo si dessero convegno quelli pagati per farsi venire le idee. Ormai era stato tutto approvato, era tutto pronto: un sorso di successo in anticipo potevo concedermelo. Il mio trionfo di cellophane era ormai una certezza, si trattava solo di attendere che la merce arrivasse sugli scaffali.
 

E invece no. Un giorno, camminando nella corsia delle bibite, proprio in questa, dove siamo ora, lo vedo. Lì, guardi, proprio lì. Vedo il fardello da sei bottiglie. Bello grande, quello per il formato da litro e mezzo. Ma mica ci trovo la mia frase. Giro e rigiro il pacco, niente, non c'è. Tolta, cancellata. Il nome del prodotto, i colori, le immagini: non mancava nulla, c'era tutto, tranne le mie parole. Il giorno dopo al lavoro avrei preteso delle spiegazioni. Le ebbi, ma talmente banali da ferirmi. Qualcuno, nella fase esecutiva del lavoro, si era dimenticato di inserire la mia frase. Una svista. Subito perdonata dal cliente. "In fin dei conti non era così importante" disse; "forse nel packaging era addirittura superflua" aggiunse. "Comunque anche secondo me era in più" concluse il collega che mi aveva appena riferito il fatto. 

Poi ricordo solo tante braccia che mi strattonavano via. Sarà stato il quarto pugno che tiravo in vita mia. Era accaduto solo nei momenti di rabbia cieca. Mi manca la freddezza per riuscire a far male a qualcuno. Così male poi.  Era finito a terra. Aveva battuto la testa. Mesi di riabilitazione prima di guarire, di recuperare completamente. Non proprio completamente. Quando ci penso vorrei scomparire. Soffro. Il mio fardello è questo. Me lo merito.
 

Riuscii a patteggiare. Mi fu concesso. Mi portarono via quel poco che avevo e mi indebitai per provvedere al resto. L'avvocato disse che mi era andata di lusso. Disse anche che la galera ero riuscito a evitarla solo perché il mio pianto di dispiacere davanti al giudice era sembrato sincero. Era sincero, non "era sembrato sincero", testa di cazzo. 
Mi cacciarono dal lavoro. Giustamente. 
Quel prodotto in compenso c'è ancora. Quello del fardello dico. Eccolo, vede? È proprio questo. La grafica è rimasta praticamente tale e quale, salvo un leggerissimo restyling. La mia frase avrebbe dovuto occupare questa parte di involucro. 
Uno con cui avevo lavorato, incrociato per strada, mi ha detto che nella nuova versione del fardello l'avrebbero inserita. Sembrava di fretta e mi guardava in modo strano, come se avesse paura. È successo alcuni mesi fa. Io non mi fido, per questo vengo qui tutti i giorni a controllare il fardello. Capito il mio duplice fardello? Capito il doppio senso? 

Ero bravo nei giochi di parole. Peccato non poterli più fare. Ogni tanto ci provo. Gli autisti degli autobus all'inizio mi ascoltavano, ora non mi badano più. 
Sto tutto il giorno sui mezzi pubblici. Giro tutti i supermercati, mi spingo fino ai discount più periferici: non tutte le grandi distribuzioni tengono gli stessi prodotti. Se non trovo il nuovo fardello con la mia vecchia frase in uno, magari lo trovo in un altro. Lo sgombro in olio d'oliva comunque lo compro solo qui. Quello della marca privata di questa catena, perché costa meno ed è di buona qualità. Mangio solo sgombro. Fa bene e costa poco. Oggi è in offerta speciale, ne ho prese dieci scatole. E banane. Hanno il potassio. Non serve il frigo. Li tengo nell'armadietto del dormitorio. 
La mia frase doveva essere lì, su quel fardello. 
Ah, giusto, prima lei mi ha chiesto cosa diceva. Non ricordo, l'ho scritta una vita fa.

 

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